...for a living planet!

sabato 19 novembre 2016

PETIZIONE EUROPEA CONTRO IL CONSUMO DI SUOLO



Il nostro futuro è in pericolo.
Dobbiamo agire ORA!
Il suolo rappresenta una risorsa strategica sia per l’Italia che per l'Europa, perché non solo garantisce la sicurezza alimentare e la conservazione della biodiversità ma è fondamentale per le misure di adattamento ai cambiamenti climatici.

È giunto il momento di proteggere i suoli europei, salvandoli dal cemento e dal degrado.

Abbiamo tempo fino all'11 settembre 2017 per raccogliere un milione di firme di cittadini europei: con queste firme potremo proporre che l'Europa si doti di una nuova direttiva per fermare il consumo di suolo.
Il successo di questa iniziativa, in Italia, sarà importantissimo anche per sollecitare il Parlamento ad approvare al più presto norme per limitare il consumo di suolo (che sono nei cassetti da due anni) e che servano a dare un quadro di regole e di strumenti che siano veramente efficaci. 


Il tuo contributo è fondamentale per un’Europa e un’Italia a «consumo suolo zero»

FIRMA ORA LA PETIZIONE !

giovedì 10 novembre 2016

IL SENATO APPROVA GRAVI MODIFICHE ALLA LEGGE QUADRO SU AREE PROTETTE, IGNORANDO COMPLETAMENTE LE PROPOSTE MOTIVATE PRESENTATE DA TUTTO IL MONDO AMBIENTALISTA (E NON SOLO)



“Né il Senato, né il Governo hanno accolto le osservazioni e le proposte di 17 associazioni ambientaliste e di centinaia di esperti e uomini di cultura, che hanno criticato in modo fermo e elaborato proposte migliorative. Risultato, una riforma sbagliata che chiediamo con forza venga modificata alla Camera”. Così le Associazioni subito dopo il voto con cui Palazzo Madama ha approvato, in prima lettura, il disegno di modifica della legge 394/91 sulle aree protette.
“Non volendo cogliere il senso costituzionale che vede la tutela della natura in capo allo Stato, la riforma non valorizza il ruolo delle aree protette come strumento efficace per la difesa della biodiversità e non chiarisce il ruolo che devono svolgere la Comunità del Parco. Un testo che doveva rafforzare il ruolo e le competenze dello Stato centrale nella gestione delle aree marine protette, ma che in realtà continua a lasciare questo settore nell’incertezza e senza risorse adeguate. Perché non possiamo non sottolineare che questa riforma viene fatta senza risorse, che la legge approvata non riesce a delineare un orizzonte nuovo per il sistema delle aree protette e senza migliorare una normativa che, dopo 25 anni di onorato servizio, non individua una prospettiva moderna per la conservazione della natura nel nostro Paese”.
Numerosi e tutti molto preoccupanti sono i punti più critici del disegno di legge approvato al Senato:
  1. Una modifica della governance delle aree protette che peggiora la qualità delle nomine e non razionalizza sufficientemente la composizione del Consiglio direttivo, in cui viene prevista la presenza di portatori di interessi specifici e non generali come deve essere. Non vengono definiti strumenti di partecipazione dei cittadini né la previsione di comitati scientifici;
  2.     Una governance delle Aree marine Protette che non prevede alcuna partecipazione delle competenze statali e individua Consorzi di gestione gli uni diversi dagli altri;
  3.     L’assenza di competenze specifiche in tema di conservazione della natura di Presidente e Direttore degli Enti Parco;
  4.     Un sistema di royalties che, pur legato ad infrastrutture ad alto impatto già esistenti, deve essere modificato per evitare di condizionare e mettere sotto ricatto i futuri pareri che gli enti parco su queste dovranno rilasciare;
  5.     Una norma che attraverso la “gestione faunistica”, con la governance prevista, acuirà le pressioni del mondo venatorio;
  6.      L’istituzione di un fantomatico Parco del Delta del Po senza che venga definito se si tratti o meno di un parco nazionale, quando peraltro la costituzione di questo, come Parco Nazionale, è già oggi obbligatoria ai sensi dalla legge vigente
  7.     Non si vietano le esercitazioni militari nei parchi e nei siti natura 2000;
  8.     Non si garantisce il passaggio delle Riserve naturali dello Stato, del personale e delle risorse impegnato, ai parchi

Sono alcuni dei motivi che fanno di questa riforma una riforma sbagliata, incapace di dare soluzioni ai problemi delle Aree Protette, ma addirittura tale da avvicinare troppo sino a sovrapporre pericolosamente i portatori d’interesse con i soggetti preposti alla tutela, svilendo la missione primaria delle aree protette e mettendole in ulteriore sofferenza. Alla luce di ciò, gli elementi utili introdotti dalla riforma, soprattutto in termini di pianificazione, di classificazione e gestione dei siti della rete Natura 2000, di considerazione dei servizi ecosistemici, appaiono sostanzialmente depotenziati.
“Abbiamo dato la massima disponibilità al confronto, elaborando argomenti seri e proposte dettagliate. Con infinito rammarico siamo costretti a dover prendere atto di mancate risposte del relatore, della maggioranza e del Governo, con il risultato doppiamente negativo di perdere l’opportunità di miglioramenti costituzionalmente coerenti e di determinare un grave scollamento tra la politica italiana ed un approccio alla conservazione della natura coerente alle indicazioni ed agli obblighi internazionali”, continuano le Associazioni ambientaliste che concludono: “A venticinque anni dalla sua approvazione, il Senato, snaturandone i presupposti, approva modiche inadeguate alla legge sulle aree protette che ha garantito la conservazione della natura e la salvezza di una parte cospicua del territorio italiano. La questione ora si sposta alla Camera dei Deputati dove le associazioni ambientaliste faranno di tutto per far sentire una va ben oltre loro e coinvolge tutto il mondo della cultura e della scienza del nostro Paese”.


Le associazioni che hanno chiesto modifiche al Senato

Ambiente e Lavoro
AIIG – Associazione Insegnanti di Geografia
Club Alpino Italiano
Centro Turistico Studentesco
Ente Nazionale Protezione Animali
FAI – Fondo Ambiente Italiano
Greenpeace Italia
Gruppo di Intervento Giuridico
Italia Nostra,
LAV – Lega Antivivisezione
Legambiente
Lipu
Marevivo
Mountain Wilderness
Pro Natura
SIGEA
WWF Italia

Elezioni USA, il commento del WWF

In merito ai risultati delle elezioni americane, il Presidente del WWF USA, Carter Roberts, ha dichiarato:

 "Cambiano i presidenti, ma ciò che rimane sono le minacce dovute al cambiamento climatico, sempre piú pericoloso, e all’uso insostenibile delle risorse. Esortiamo il neo-Presidente Donald Trump ad accelerare la transizione verso le energie rinnovabili e ad onorare gli impegni presi per risolvere la crisi del clima e preservare gli oceani, le foreste e le specie nel mondo. Gli investimenti su larga scala per la conservazione e l’energia rinnovabile, i passi in avanti fatti nel campo della sostenibilità sono uno stimolo formidabile per l'innovazione, per la creazione di migliaia di posti di lavoro ben remunerati e la riduzione delle emissioni che alimentano i cambiamenti climatici”.

"Il presidente eletto Trump si è impegnato a rendere l'America più sicura. Ebbene, un’azione ambiziosa per il clima è tanto più necessaria per mantenere tale promessa, dato che il livello dei mari è in aumento e gli eventi estremi legati al cambiamento climatico, come gli uragani, colpiscono duramente e con sempre più frequenza le nostre città. Sappiamo che la sicurezza globale e la sopravvivenza delle popolazioni mondiali  dipendono dal mantenimento delle risorse naturali, tra cui il nostro clima. Da parte nostra, continueremo a coinvolgere tutti i paesi del mondo, così come le famiglie americane, le città, gli stati, le imprese e il governo federale per costruire alleanze e lottare per il cambiamento significativo di cui abbiamo bisogno e per il pianeta, la nostra casa".


venerdì 14 ottobre 2016

ALLARME PESCE SPADA


LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE:
“BENE LE NUOVE MISURE DI CONSERVAZIONE DEL MINISTERO POLITICHE AGRICOLE, MA BISOGNA FARE DI PIU’"




Con l’ approssimarsi della Commissione  ICCAT del prossimo novembre, l’Unione Europea si appresta a proporre un piano di recupero per il pescespada del Mediterraneo. Gli ultimI risultati sullo stato dello stock sono allarmanti, con catture il doppio del livello ritenuto sostenibile, che incidono al 70% sul sotto taglia.
La responsabilità ricade largamente sulla flotta italiana che con quasi il 50% delle catture è la più importante del Mediterraneo.

Per questo le associazioni ambientaliste Legambiente, Marevivo, MedReAct, Oceana e WWF , accolgono positivamente le nuove misure introdotte dal Ministero delle Politiche Agricole che chiudono la pesca all’alalunga - le cui catture accessorie incidono pesantemente sui giovanili di pescespada -  e a tutti i palangari derivanti dal 1 ottobre al 30 novembre. 

Secondo le associazioni questa misura costituisce un passo nella giusta direzione che dovrà essere integrata in un sistema di gestione pluriannuale  più ambizioso per il recupero dello stock che comprenda:

-         - l’introduzione di quote di cattura non trasferibili, equamente distribuite tra i diversi segmenti della flotta secondo criteri che incentivino le pratiche di pesca sostenibili e a basso impatto ambientale, nel pieno rispetto della legalità;
-         - la possibilità di estendere il periodo di fermo per i palangari derivanti per tutelare in maniera più efficace i giovanili di pescespada;
-         - una revisione della taglia minima di cattura sulla base degli ultimi pareri scientifici;
-       - nuove misure per il contrasto alla pesca illegale attraverso il controllo satellitare e l’ obbligo di  dichiarazione e certificato di cattura per tutti i pescherecci autorizzati alla pesca del pescespada.



Roma 14 ottobre 2016

Ufficio stampa WWF Italia
06-84497.213 – 329-8315725

martedì 4 ottobre 2016

NELLA TERRA DI SAN FRANCESCO ANCORA 27 AREE A RISCHIO BRACCONAGGIO


La proposta: inserire nella normativa il “Delitto di uccisione di specie protetta” con pene sia detentive che pecuniarie più severe e adeguate



Sono 27 le aree ad alto ‘tasso’ di bracconaggio, comprese quelle marine: l’Italia non fa onore al Cantico delle Creature visto il numero di animali protetti abbattuti e la rarità di alcune specie bersaglio del bracconaggio, come la rarissima Aquila di Bonelli sparata ieri in Sicilia e recuperata dal WWF locale. Lo denuncia il WWF alla vigilia della giornata dedicata al Santo e Patrono d’Italia.

Nel suo ultimo  Dossier WWF “#FurtodiNatura: storie di bracconaggio Made in Italy, presentato in questi giorni, il WWF segnala anche una preoccupante “area grigia” tra caccia e bracconaggio:  in un territorio già provato da cementificazione, perdita di habitat naturali, inquinamento e cambiamenti climatici l’attività venatoria (compresa quella legale) rappresenta l’ennesima gravissima aggressione alla fauna selvatica. Il territorio ‘aperto’ alle doppiette è molto ampio, 75-80% di quello nazionale: i cacciatori possono entrare anche nei terreni privati senza alcun permesso del proprietario. Quasi l’80% degli illeciti viene commesso durante la stagione venatoria, malgrado questa duri solo 4 mesi. La ‘malacaccia’ si esprime in una varietà infinita di pratiche: abbattimento di specie protette, caccia in aree protette o in periodi non consentiti, con trappole e richiami o con tecniche vietate. I reati a danno della fauna selvatica sono compiuti per il 78% dai cacciatori, mentre il 19% dei casi si tratta di bracconieri ‘tout court, ovvero, privi di licenze.  Nel Dossier WWF il decalogo delle pratiche più frequenti vanno dalla cattura di piccoli uccelli cantori con gli archetti al veleno all’uccisione degli istrici a colpi di bastone o come nel caso della ‘jacca’ una pratica in uso in Puglia in cui i bracconieri, appostati tra gli alberi, in una sola notte  uccidono a palettate centinaia di quaglie e altri piccoli uccelli dopo averli abbagliati. Questa pratica è stata per fortuna quasi debellata in alcune aree grazie ad un controllo costante delle Guardie WWF.  Una novità positiva è la recente modifica della Legge sulla caccia che obbliga i cacciatori a segnare gli animali appena abbattuti, un sistema che consente di conoscere la vera consistenza del prelievo venatorio. 

Tra le richieste del WWF, dopo la recente riforma del Codice Penale che ha introdotto il Delitto contro l’ambiente’, c’è infatti l’inasprimento delle sanzioni penali a tutela della fauna selvatica. Il WWF Italia ha elaborato una proposta di legge proponendo il “Delitto di uccisione di specie protetta”, con pene sia detentive che pecuniarie più severe e adeguate alla gravità. E’ ora che il Parlamento si assuma  la responsabilità  di avviare subito l’iter  di approvazione di questa legge  con una corsia  preferenziale , anche per garantire la   completa applicazione nel nostro Paese delle   convenzioni internazionali e delle  Direttive europee a difesa della Natura, della Biodiversità ,   degli animali selvatici e della legalità. Ricordiamo che il bracconaggio   è un fenomeno criminale che continua ad uccidere milioni di animali ogni anno, quasi sempre impunemente, con pesanti ripercussioni anche economiche  e sociali.
  
All’inasprimento delle  sanzioni vanno affiancate azioni dirette alla formazione e sensibilizzazione delle Forze dell’ordine e della Magistratura sui reati di bracconaggio ed in danno della fauna selvatica . Altrettanto importanti sarebbero campagne di informazione e sensibilizzazione dei cittadini e loro coinvolgimento per segnalare i reati contro la fauna selvatica:  i  “furti di natura” sono vere rapine di un bene  collettivo , un danno grave ed irreversibile   all’umanità ,  ben  più gravi  dei furti alle  proprietà private.  Vanno anche creati  e mantenuti costanti  presidi di vigilanza, sia pubblica sia di  volontari , nelle aree individuate a maggior rischio e frequenza di reati in di bracconaggio. L’ultimo gravissimo episodio  accaduto in Sicilia  di colpi di  arma da fuoco ai danni  di un giovane esemplare di Aquila di Bonelli, salvato grazie ai volontari del    WWF di Licata (Agrigento), rende ancor più urgente  una rapida e dura presa di posizione  del Governo e del Parlamento  ,che può arrivare fino  alla  sospensione  di ogni attività di  caccia. L’Aquila di Bonelli, ormai rara in tutto il bacino del Mediterraneo, è un rapace la cui sopravvivenza risulta oggi in forte pericolo: in Sicilia vive l'unica popolazione ormai nidificante in Italia e la specie è minacciata per la distruzione degli habitat e soprattutto per il commercio illegale dei pulcini. Per anni, infatti, è stata soggetta al prelievo clandestino di uova e piccoli da parte di trafficanti senza scrupoli, che ricavavano dalla vendita illegale di ogni esemplare lauti guadagni. Viene pertanto classificata “In Pericolo Critico (CR)” secondo i parametri scientifici dell'IUCN International Union for Conservation of Nature (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura). La morte di rapaci a causa di arma da fuoco è una delle principali cause di declino della popolazione.

Il WWF Italia chiede infine una presa di posizione  ed una fattiva collaborazione dalle   associazioni venatorie e dai cacciatori veri per bloccare questo massacro di natura: che ci aiutino a dimostrare  che caccia e  cacciatori non sono coinvolti in alcuna forma di bracconaggio   

LA CURIOSITA’: LA VETRINA DI FACEBOOK
La più grande vetrina planetaria delle abitudini umane permette anche di scoprire dove scompaiono gli uccelli migratori che attraversano il Mediterraneo. I cacciatori più esibizionisti postano sulla pagina personale o in uno dei tanti gruppi "venatori", il frutto delle carneficine: sono le prove inconfutabili dei bracconieri. (https://www.facebook.com/stophuntinglebanon). La smania di protagonismo, una sorta di follia collettiva che ha contagiato i cacciatori del bacino del Mediterraneo, ha consentito alle Guardie WWF di comprendere meglio il fenomeno del bracconaggio. Le immagini che arrivano dal Libano, dalla Siria, dall'Egitto e più recentemente dall'Arabia Saudita non lasciano dubbi. Studi più recenti parlano di 26 milioni di uccelli uccisi illegalmente ogni anno nel Mediterraneo, cifra probabilmente prudenziale. E così si scopre che un solo cacciatore libanese può uccidere 100 Re di Quaglie in una mattinata, o decine di aquile anatraie minori, o rigogli e ghiandaie marine a mazzi. . 

Roma, 3 ottobre  2016 – 


LA MAPPA DELLE 27 AREE ‘CALDE’ PER IL BRACCONAGGIO IN ITALIA

IL DOSSIER WWF: “FURTO DINATURA”

FOTO, VIDEO, INFOGRAFICHE, DOSSIER E SCHEDE INFORMATIVE SU: http://bit.ly/FURTODINATURA

Twitter: @WWFitalia - Ufficio Stampa WWF Italia
Tel. 06-84497266/332 /213  -   329-8315725 - 329 8315718 - 340 9899147  Twitter - Facebook - Youtube

martedì 27 settembre 2016

L'OMS HA PUBBLICATO L'ULTIMO RAPPORTO SU INQUINAMENTO ATMOSFERICO ED IMPATTO SULLA SALUTE

L'ultimo rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità: quasi l'intera popolazione mondiale vive in zone con livelli di particelle sottili che superano i limiti. Sono tre milioni i decessi legati a inquinamento atmosferico


 Aria sempre più irrespirabile. L'inquinamento atmosferico peggiora: il 92% della popolazione mondiale vive in luoghi dove i livelli di qualità dell'aria non soddisfano i limiti fissati dall'Oms per le particelle sottili, ovvero una media annuale di 10 microgrammi per metro cubo. Il dato, preoccupante per la nostra salute, è messo nero su bianco nell'ultimo rapporto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, che lancia un appello per "un'azione rapida per affrontare l'inquinamento atmosferico".

In cifre. L'analisi svolta dall'università di Bath, nel Regno Unito, ha preso in considerazione i dati, rilevati attraverso satelliti e rilevatori di terra, provenienti da 3.000 luoghi, sia urbani che rurali,  in tutto il mondo. Mediterraneo orientale, Sud-est asitico e Pacifico occidentale: queste, secondo l'Oms, le aree esposte a livelli di inquinamento "particolarmente alti". Esclusa la regione delle Americhe, meno del 20% della popolazione del resto del mondo vive in luoghi dove la qualità dell'aria corrisponde alle norme previste dall'Organizzazione mondiale della Sanità.

Nel mondo circa 3 milioni di decessi, secondo l'agenzia per la salute delle Nazioni Unite, sarebbero legati all'esposizione all'inquinamento atmosferico. Il dato è in aumento se confrontato con le stime del 2012, quando a morire erano 6,5 milioni di persone, ovvero l'11,6% dei decessi globali. Di questi, il 95% è dovuto a malattie non trasmissibili: problemi cardiovascolari o polmonari cronici oppure cancro ai polmoni. Inoltre, l'inquinamento atmosferico, come si spiega nel rapporto, aumenta il rischio di acute infezioni respiratorie.

Le cause. Il rapporto punta il dito contro le principali fonti di inquinamento atmosferico, tra cui "i mezzi di trasporto inefficienti, i combustibili per uso domestico, la combustione dei rifiuti, le centrali elettriche alimentate a carbone e le attività industriali". Ma, la colpa non è soltanto delle attività umane. L'allarme è legato anche ai fenomeno naturali: "le tempeste di sabbia, soprattutto nelle zone vicine a un deserto - precisa il rapporto -  possono avere un'influenza sulla qualità dell'aria".

Cosa possiamo fare. L'Oms propone anche delle strategie da mettere in campo per ridurre i livelli di inquinamento troppo alti, puntando sulla sostenibilità ambientale in diversi settori. "Esistono delle soluzioni, in particolare un sistema dei trasporti più sostenibile, la gestione dei rifiuti solidi, l'uso di stufe e combustibili puliti per le famiglie così come le energie rinnovabili e la riduzione delle emissioni industriali", ha spiegato Maria Neira, direttrice del dipartimento di Sanità pubblica dell'Oms. Energie rinnovabili e riduzione delle emissioni industriali sono altri due pilastri, suggeriti dall'Oms, per salvaguardare la buona qualità dell'aria.

Lotta all'inquinamento. Gli esperti sperano di poter far leva su questi nuovi dati per impegnare la comunità internazionale a maggiori sforzi a favore dei una migliore qualità dell'aria.

(Fonte: La Repubblica)


PER APPROFONDIMENTI CLICCA QUA


WHO releases country estimates on air pollution exposure and health impact

New interactive maps highlight areas within countries that exceed WHO air quality limits


27 SEPTEMBER 2016 | GENEVA - A new WHO air quality model confirms that 92% of the world’s population lives in places where air quality levels exceed WHO limits*. Information is presented via interactive maps, highlighting areas within countries that exceed WHO limits.

"The new WHO model shows countries where the air pollution danger spots are, and provides a baseline for monitoring progress in combatting it," says Dr Flavia Bustreo, Assistant Director General at WHO.

It also represents the most detailed outdoor (or ambient) air pollution-related health data, by country, ever reported by WHO. The model is based on data derived from satellite measurements, air transport models and ground station monitors for more than 3000 locations, both rural and urban. It was developed by WHO in collaboration with the University of Bath, United Kingdom.

Air pollution’s toll on human health

Some 3 million deaths a year are linked to exposure to outdoor air pollution. Indoor air pollution can be just as deadly. In 2012, an estimated 6.5 million deaths (11.6% of all global deaths) were associated with indoor and outdoor air pollution together.

Nearly 90% of air-pollution-related deaths occur in low- and middle-income countries, with nearly 2 out of 3 occurring in WHO’s South-East Asia and Western Pacific regions.

Ninety-four per cent are due to noncommunicable diseases – notably cardiovascular diseases, stroke, chronic obstructive pulmonary disease and lung cancer. Air pollution also increases the risks for acute respiratory infections.

"Air pollution continues take a toll on the health of the most vulnerable populations – women, children and the older adults," adds Dr Bustreo. "For people to be healthy, they must breathe clean air from their first breath to their last."

Major sources of air pollution include inefficient modes of transport, household fuel and waste burning, coal-fired power plants, and industrial activities. However, not all air pollution originates from human activity. For example, air quality can also be influenced by dust storms, particularly in regions close to deserts.

Improved air pollution data

The model has carefully calibrated data from satellite and ground stations to maximize reliability. National air pollution exposures were analysed against population and air pollution levels at a grid resolution of about 10 km x 10 km.

"This new model is a big step forward towards even more confident estimates of the huge global burden of more than 6 million deaths – 1 in 9 of total global deaths – from exposure to indoor and outdoor air pollution," said Dr Maria Neira, WHO Director, Department of Public Health, Environmental and Social Determinants of Health. "More and more cities are monitoring air pollution now, satellite data is more comprehensive, and we are getting better at refining the related health estimates."

Interactive maps

The interactive maps provide information on population-weighted exposure to particulate matter of an aerodynamic diameter of less than 2.5 micrometres (PM2.5) for all countries. The map also indicates data on monitoring stations for PM10 and PM2.5 values for about 3000 cities and towns.

"Fast action to tackle air pollution can’t come soon enough," adds Dr Neira. "Solutions exist with sustainable transport in cities, solid waste management, access to clean household fuels and cook-stoves, as well as renewable energies and industrial emissions reductions."

Notes for editors:

In September 2015, world leaders set a target within the Sustainable Development Goals of substantially reducing the number of deaths and illnesses from air pollution by 2030.

In May 2016, WHO approved a new "road map" for accelerated action on air pollution and its causes. The roadmap calls upon the health sector to increase monitoring of air pollution locally, assess the health impacts, and to assume a greater leadership role in national policies that affect air pollution.

* WHO Ambient Air Quality Guidelines

WHO air quality model confirms that 92% of the world’s population lives in places where air quality levels exceed “WHO’s Ambient Air quality guidelines” for annual mean of particulate matter with a diameter of less than 2.5 micrometres (PM2.5). WHO guideline limits for annual mean of PM2.5 are 10 μg/m3 annual mean.

PM2.5 includes pollutants such as sulfate, nitrates and black carbon, which penetrate deep into the lungs and in the cardiovascular system, posing the greatest risks to human health.

BreatheLife air pollution campaign

This fall WHO is rolling out BreatheLife, a global communications campaign to increase public awareness of air pollution as a major health and climate risk. BreatheLife is led by WHO in partnership with the United Nations Environment Programme (UNEP)-hosted Climate and Clean Air Coalition to Reduce Short-lived Climate Pollutants. The campaign stresses both the practical policy measures that cities can implement (such as better housing, transport, waste, and energy systems) and measures people can take as communities or individuals (for example, to stop waste burning, promote green spaces and walking/cycling) to improve our air.

Learn more about Breathe Life 2030
For more information, please contact:

Nada Osseiran
WHO Department of Public Health, Environmental and Social Determinants of Health
Telephone: +41 22 791 4475
Mobile: +41 79 445 1624
Email: osseirann@who.int

Kimberly Chriscaden
WHO Department of Communications
Telephone : +41 22 791 2885
Mobile : +41 79 603 1891
Email: chriscadenk@who.int

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venerdì 23 settembre 2016

OBIETTIVO CONSUMO SUOLO ZERO

Parte la sfida per raccogliere un milione di firme dei cittadini europei, presentata oggi a Terra Madre la task force che coordinerà la petizione in Italia



“Se davvero vogliamo che l’obiettivo del consumo di suolo “zero” al 2050 indicato dal VII programma d’azione europea sull’ambiente diventi realtà è il momento di passare all’azione sia in Europa che in Italia”. Lo dichiara la presidente del WWF Italia Donatella Bianchi da Torino dove partecipa al lancio della della campagna Salvailsuolo presentata oggi a Torino dal palco di Terra Madre e promossa dalla coalizione People4Soil che ha l’obiettivo di raccogliere 1 milione di firme di cittadini europei per fermare il consumo e il degrado del suolo attraverso una proposta di legge europea di iniziativa popolare (ECI, Iniziativa dei Cittadini Europei). In Italia la raccolta firme nell’ambito della Campagna Salvailsuolo sarà coordinata da una task force di associazioni che per 12 mesi collaboreranno per sostenere l’iniziativa dei cittadini europei (ECI): ACLI, Coldiretti, FAI, Istituto Nazionale di Urbanistica, Legambiente, LIPU, Slow Food, WWF, insieme al più vasto coordinamento italiano di associazioni aderenti.

“La Commissione europea ha redatto la prima comunicazione Verso una strategia tematica per la protezione del suolo nel 2002. Nel 2006 ha impostato una bozza di Direttiva, poi abbandonata nel 2014. In Italia il primo disegno di legge sul consumo del suolo e la tutela dei terreni agricoli è arrivata in Parlamento alla fine del 2012. Dopo essere stato riproposto e integrato nel 2013, il disegno di legge non solo è ancora ancora in discussione ma e stenta a delineare un quadro di regole e strumenti che realmente efficaci - continua la presidente del WWF -. La proposta di legge popolare europea è un potente stimolo all’azione e per far sì che il blocco che si è creato rispetto a questo tema fondamentale per il futuro dell’Italia e dell’Europa venga finalmente superato”.

“Il suolo è una risorsa non rinnovabile e un bene comune, che svolge funzioni vitali per l’ecosistema, la produzione alimentare, la conservazione delle risorse idriche, lo stoccaggio de carbonio: contenerne il consumo è fondamentale non solo per limitare il rischio idrogeologico ma anche per garantire la resilienza dei sistemi naturali e favorire l’adattamento ai cambiamenti climatici. E’ importante, quindi, che si rilanci il percorso di una normativa quadro comunitaria, di una direttiva europea che stabilisca una volta per tutte come il suolo sia una risorsa strategica per assicurare la sicurezza alimentare, la tutela della biodiversità e la regolazione dei cambiamenti climatici, così come viene enunciato nella proposta di legge popolare europea lanciata oggi a Torino”, spiega Donatella Bianchi che conclude: “E’ da dieci anni che noi Europei diciamo di esserne consapevoli: ora è arrivato il momento di passare dalle parole ai fatti”.
II WWF ricorda che nel 2020 l’80% dei cittadini europei risiederà nelle aree urbane (oggi è il 75%) e che quindi c’è bisogno di un’un’urgente inversione di tendenza, a cominciare in Italia dalla Pianura Padana, l’area più dinamica e più vicina dell’Europa del nostro Paese, dove la superficie urbanizzata pro capite è di 719 metri quadrati per abitante, il doppio della media italiana ed europea, secondo i dati elaborati dal gruppo di lavoro dell’Università dell’Aquila sul consumo del suolo che da anni collabora col WWF.


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mercoledì 21 settembre 2016

LA LIGURIA HA IL PIU' ALTO TASSO DI MORTALITA' PER CANCRO DELLE REGIONI EUROPEE

Dall' Annuario Eurostat 2016 emerge che nel 2012 nella Regione Liguria si è registrato il tasso di mortalità per cancro più alto di tutte le altre regioni Ue, pari a 364 decessi ogni 100mila abitanti.



Per contro la Calabria è stata una delle regioni col tasso più basso, pari a 230 morti ogni 100mila abitanti.

Anche sulla base di questo dato, l'analisi statistica sottolinea un divario di mortalità tra nord e sud, oltre che in Italia, anche in Spagna e in Germania.

Germania e Regno Unito sono stati i due Paesi col maggior numero di regioni, ben 13, che hanno registrato un tasso di mortalità per cancro di almeno 290 ogni 100mila abitanti; segue l'Italia, con otto regioni - tra queste Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Marche, Umbria - e Olanda, con quattro regioni.

" North–south divide in crude death rates from cancer within Spain, Germany and Italy Germany and the United Kingdom had the largest number of regions with crude death rates for cancer that were at least 290 per 100 000 inhabitants (the darkest shade in Map 3.4), each with 13 regions in this class, followed by Italy (eight regions), the Netherlands (four regions), Denmark, Spain and France (each with three regions); also in this class were the Portuguese region of Alentejo, the Finnish region of Åland, and Latvia (one region at this level of detail).
It is interesting to note that crude death rates from cancer in the northern halves of Spain, Germany and Italy were considerably higher than the rates that were recorded in southern regions. For example, the highest crude death rate from cancer among any of the NUTS level 2 regions in the EU was recorded in the northern Italian region of Liguria (364 deaths per 100 000 inhabitants in 2012), which could be contrasted with a relatively low crude death rate in the southern Italian region of Calabria (230 deaths per 100 000 inhabitants). There were also considerable disparities in crude death rates from cancer between the regions of France and those of the United Kingdom. For example, three French regions had crude death rates of at least 300 deaths per 100 000 inhabitants, while the three départements d’outre-mer for which data are available and the capital city region of the Île de France had rates that were below 215 per 100 000 inhabitants (shown in the lightest shade in Map 3.4). In the United Kingdom, crude death rates from cancer of at least 290 per 100 000 inhabitants were recorded for many regions in contrast to a rate of just 168 deaths per 100 000 inhabitants in London (NUTS level 1). Indeed, it was not uncommon to find the lowest regional death rates from cancer reported for capital city regions, as, along with the United Kingdom, this was also the case for Belgium, Denmark, Ireland, Finland and Sweden. "



LA PUBBLICAZIONE E' SCARICABILE  QUA   (cliccare poi su "VAI AL SITO" a fondo pagina)




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mercoledì 7 settembre 2016

WWF: ABBATTERE I LUPI AUMENTA I DANNI ALLE GREGGI

UNA RICERCA  SUL CONTROLLO DEI PREDATORI DIMOSTRA L’EFFICACIA DEI METODI NON CRUENTI


L’abbattimento di predatori comporta nella metà dei casi un aumento dei danni a scapito degli animali domestici: lo dimostra una ricerca pubblicata  giovedì scorso nella rivista specialistica “Frontiers in Ecology and the Environment”. I risultati in caso di utilizzo di metodi non letali, come la protezione delle greggi, invece mostrano la loro efficacia : nell’80 % dei casi gli attacchi alle greggi sono diminuiti.

Purtroppo in molte parti del mondo è diffusa tra le autorità, i cacciatori e gli allevatori di animali domestici come soluzione ‘istintiva’ per evitare danni al bestiame quella più semplice, ovvero, abbattere i predatori, come orsi, lupi e grandi felini. I risultati dello studio dimostrano e confermano però che l’abbattimento è una ‘cura peggiore del male’. Il gruppo di ricerca internazionale ha analizzato sistematicamente i risultati e la validità di vari studi condotti sia in America che in Europa. I risultati rilevati in Africa e Asia confermano questi esiti.

Le considerazioni generali della ricerca non sono nuove, ma più evidenti che mai grazie all’ampio database internazionale. I metodi letali (come caccia, esche avvelenate o trappole) non risolvono i problemi degli allevatori ma al contrario aggravano i problemi esistenti. Solo nel 29% dei casi esaminati si ottiene una diminuzione temporanea degli attacchi al bestiame mentre nel 43% si nota invece un aumento dei danni in confronto degli animali domestici dopo l’abbattimento di un predatore. Nel caso si utilizzino metodi non letali (come l’uso di cani da guardia per le greggi, recinzioni elettriche o dissuasori come il nastro segnaletico) questi si sono rivelati invece efficaci e nell’80% dei casi esaminati i danni al bestiame sono diminuiti.

Per questo, sulla base dell’attuale stato delle conoscenze, gli scienziati consigliano alle autorità e alle persone competenti di non prendere più in considerazione l’abbattimenti dei predatori per proteggere gli animali domestici.

In Italia e in Svizzera sono in corso revisioni delle norme nazionali per concedere la possibilità di abbattere alcuni esemplari di lupi.

Gabor von Bethlenfalvy, esperto di grandi carnivori per il WWF Svizzero dice: «È preoccupante quanto la politica si faccia guidare dalle pressioni degli interessi dei singoli e quanta poca considerazione dedichi alle esperienze pratiche e agli studi. Si accettano i metodi cruenti dei diretti interessati ed addirittura si incoraggiano».

Il WWF ricorda anche che tutti i predatori che vivono nel territorio alpino, a cavallo tra i vari paesi, sono specie la cui popolazione è drasticamente minacciata e per questo qualunque soluzione ‘sperimentale’ è da scoraggiare, specialmente per il lupo. Ancora oggi la decimazione della popolazione tramite abbattimenti casuali è una prassi ed il grande pericolo di questi metodi è che vengano uccisi individui importanti per la struttura del branco o l’approvvigionamento di cibo. Il rischio di peggiorare la situazione invece di migliorarla è troppo grande.

Gabor von Bethlenfalvy dice a riguardo: «La migliore protezione del bestiame in una regione in cui sono presenti i lupi consiste nella protezione del gregge e nell’assicurare la struttura familiare stabile del branco»

Anche in Italia è in corso di revisione la politica di gestione del lupo. Il primo Piano di Azione nazionale è stato redatto nel 2002, ormai scaduto da tempo e sostanzialmente scarsamente applicato sul territorio. Il Ministero dell’Ambiente ha dato incarico all’Unione Zoologica Italiana di redigere una nuova versione del piano che prevede tra l’altro le modalità e le condizioni per concedere le deroghe al divieto di abbattimento. Il Lupo in Italia è oggi una specie protetta dalla Direttive comunitarie e dalla Legge nazionale sulla caccia.
Il WWF ha manifestato ripetutamente le motivazioni per cui l’abbattimento non è una soluzione per la gestione del lupo, consegnando direttamente al Ministro dell’Ambiente migliaia di firme. Attualmente il Piano deve essere ancora discusso nella Conferenza Stato-Regioni, ma ci sono concrete possibilità che si possa fare marcia indietro prendendo atto che attualmente non esistono le condizioni per concedere le deroghe.

Roma, 6 settembre 2016 


Il focus sulla speciehttp://www.wwf.it/lupo/


Ufficio Stampa WWF Italia

venerdì 5 agosto 2016

DOSSIER WWF "L'ULTIMA SPIAGGIA"

WWF: "Ridurre subito i fattori di pressione su mari e coste italiane"
1.860 km i tratti di costa liberi a buon grado di naturalità


Partiamo dai 1.860 km  di tratti lineari di costa più lunghi di 5 km del nostro Paese (isole comprese) ancora liberi e con un buon grado di naturalità (il 23% dei nostri litorali, su complessivi 8.000 km circa) e puntiamo su quattro grandi aree strategiche per la biodiversità dei nostri mari : la zona tra il Mar Ligure ed il parco nazionale dell’Arcipelago Toscano, il canale di Sicilia, il Mare Adriatico settentrionale e l’area del canale di Otranto nell’Adriatico meridionali. E’ qui infatti che si concentra la maggiore ricchezza delle nostre risorse marine e costiere. La loro tutela ci porta sulla rotta di un’economia blu sostenibile insieme al contenimento significativo dei fattori di pressione e degli impatti ambientali a mare (delle attività economiche di ricerca e coltivazione di idrocarburi, trasporti marittimi, dragaggi, turismo, pesca, acquacoltura, impianti da fonti rinnovabili offshore, attività militari) e a terra causati da uno sviluppo urbanistico che ha divorato 10 km  lineari di coste l’anno per 50 anni.

E’ questo il segnale e l’invito lanciato dal WWF nel suo dossier “Italia: l’ultima spiaggia – Lo screening dei mari e delle coste della Penisola” in cui chiede subito di invertire le tendenze che negli ultimi 50 anni ha visto sorgere una barriera di cemento e mattoni lunga 2000 km (un quarto delle nostre coste) e che vede nei nostri mari il 25% della piattaforma continentale italiana interessata da attività di estrazione degli idrocarburi (con 122 le piattaforme offshore attive e 36  istanze per nuovi impianti), il trasporto via mare fare  dell’Italia il Paese in Europa (dopo Olanda e Regno Unito) per quantità di merci containerizzate movimentate, uno sviluppo turistico che vede il 45% dei turisti italiani e  il 24%  di quelli stranieri scegliere le nostre località costiere, un’attività di pesca in caduta verticale, visto che il 93% dei nostri stock ittici sovra sfruttato, e la proliferazione di impianti di acquacoltura (in 10 anni aumentati in Italia del 70%).

Il dossier del WWF, fotografa la situazione attuale e indica le aree più ricche dal punto di vista ecologico da cui partire per salvare i nostri mari grazie alle elaborazioni contenute nello studio MedTrends, coordinato dal Mediterranean Programme Office del WWF Internazionale, in coerenza con le linee di intervento comunitario per la pianificazione dello spazio marittimo: Mar Ligure e Arcipelago Toscano (dove la grande ricchezza di plancton favorisce un’elevata concentrazione di cetacei, come testimoniato anche dall’istituzione del Santuario internazionale dei Cetacei “Pelagos”); il Canale di Sicilia (con montagne sottomarine dove si trovano cumuli di coralli bianchi e zona di deposizione delle uova per tonni, pesci spada e acciughe e area di nursery dello squalo bianco); Mare Adriatico settentrionale (che vede una delle popolazioni più importanti di tursiopi del Mediterraneo ed è una delle aree di alimentazione più importanti della tartaruga marina Caretta caretta, zona di riproduzione della verdesca e dello squalo grigio), Canale di Otranto Mare Adriatico meridionale (dove ci sono habitat importanti per lo zifio, il diavolo di mare, la stenella striata, la foca monaca e il pesce spada).

Anche nella nostra fascia costiera non bisogna ridursi all’ultima spiaggia. Negli ultimi 50 anni, come documentato nel dossier WWF, grazie agli studi dell’equipe coordinata dal professor Bernardino Romano dell’Università dell’Aquila, la densità dell’urbanizzazione in una fascia di 1 km dalla linea di costa è passata nella Penisola dal 10 al 21%, mentre in Sicilia ha raggiunto il 33% e in Sardegna il 25%. Tra il 2000 e il 2010, secondo l’ISTAT,  sono stati costruiti 13.500 edifici, 40 edifici per Kmq, nella fascia costiera di un km dalla battigia (nei versanti tirrenico e adriatico) e più del doppio sulla costa jonica.  E se il ritmo delle nuove edificazioni fosse quelle registrato tra il 2000 e il 2010, nei prossimi 30 anni avremmo  su scala nazionale almeno altri 40.500 nuovi edifici nella fascia di 1 km dalla battigia.

Ma si possono ancora salvare le aree con alto grado di naturalità se si interrompe subito l’ulteriore consumo di suolo. Il WWF, al di là delle perle di valore naturalistico, paesaggistico e storico-artistico diffuse in maniera puntiforme in tutto il Paese, individua: sulle costa tirrenica 16 segmenti più lunghi di 5 km, liberi dall’urbanizzazione, da preservare integralmente per il loro valore ambientale per un totale di 144 km (15 km tra Viareggio e Pisa, 20 km tra Grosseto e Orbetello, in Toscana; 15 km da Latina a Sabaudia, nel Lazio; 12 km tra Camerota e San Giovanni Piro, in Campania); sulla costa adriatica sono circa 200 i km preservati che vanno pienamente tutelati (i segmenti più lunghi si trovano in Friuli Venezia Giulia, Marano Lagunare; in Veneto, 50 km tra Porto Viro e Goro; e in Puglia, 14 km lungo la costa del Lago di Lesina). Anche nelle isole maggiori il WWF richiama l’attenzione sugli alti indici di saturazione urbanistica delle coste che obbligano alla difesa attiva dei significativi valori ambientali e paesaggistici, che si rinvengono ancora in un quarto delle coste siciliane (poco più di 300 km) rimasto libero e in quel 64% (oltre 1.200 km) di territorio costiero di pregio, per fortuna, rimasto ancora libero in Sardegna (vedi nell’allegato la scheda relativa agli approfondimenti sullo screening delle coste).

Se la maglia nera della densità urbanistica (con indici di urbanizzazione che vanno dal 50 al 60%) è da assegnare al versante tirrenico (con quasi tutta la costa della Liguria, il Lazio centro-meridionale e la Campania centro-nord) e al settore emiliano-romagnolo/marchigiano/abruzzese del versante adriatico, c’è da notare che il sistema dei 100 parchi e riserve e degli oltre 200 siti costieri della Rete Natura 2000 costituisce un argine alla espansione edilizia. Ciò è vero in particolare sul versante tirrenico con i parchi nazionali del Pollino e del Cilento che scardinano la continuità edificatoria nel Sud d’Italia, mentre sul versante adriatico si rileva la mancanza di aree protette di estensione significativa che possano al momento fare da diga. Ciò avviene in una situazione in cui comunque le aree tutelate sono sottoposte ad un crescente assedio, visto che, secondo elaborazioni originali su foto satellitari contenute nel dossier WWF, che hanno raffrontato la situazione dal 1988 ad oggi, i 167 interventi che hanno cambiato la morfologia della nostra fascia costiera sono per il 95% causati dall’espansione edilizia (per il 58.7% strutture turistiche, per il 19% insediamenti residenziali, per l’11%  infrastrutture portuali) e vanno ad interferire con 107 siti di interesse comunitario (SIC), tutelati dall’Europa, sui circa 400 siti comunitari marini e costieri.

Nel dossier Italia: l’ultima spiaggia il WWF indica anche quali possano essere  gli strumenti istituzionali per salvare le coste e i mari italiani. Si chiede innanzitutto:
  1. una moratoria della nuova edificazione nella fascia costiera, sino a quando non saranno approvati i piani paesaggistici in tutte le Regioni, e il blocco dei rinnovi automatici di tutte le concessioni balneari, come richiesto dalla Corte di Giustizia europea, sino a quando l’Italia non si doterà di una normativa che preveda l’obbligo di gara:
  2. uno stretto coordinamento operativo tra i ministeri, le regioni e i comuni, non solo nell’implementare la strategia nazionale marina, integrandola con i piani di gestione dello spazio marittimo, richiesti dall’Europa, ma nel fare del Santuario internazionale Pelagos un’area di effettiva tutela dei cetacei, al di là dei confini dei singoli Stati (Italia, Francia e Principato di Monaco).