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domenica 31 gennaio 2016

LA LIGURIA POTREBBE DIMEZZARE LE EMISSIONI DI GAS SERRA



Nei prossimi 15 anni in Liguria, in termini di sola occupazione diretta, potrebbero nascere oltre 4.500 nuovi posti di lavoro dalla transizione verso un modello green e low carbon dell’economia, con particolare riguardo allo sviluppo delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica; tale sviluppo richiederebbe investimenti medi annui pari a 391 milioni di euro.
È quanto emerge dallo studio, presentato oggi a Roma, dal titolo “Liguria, proposte per un modello di sviluppo nearly zero emissions”, che il WWF ha commissionato all’ENEA per approfondire le possibilità di una transizione verso un modello basato su tecnologie e sistemi in grado di ridurre le emissioni di gas serra e, di conseguenza, l’impatto dei cambiamenti climatici - come indicato dal recente accordo di Parigi (COP21) e dagli impegni europei - ma anche di promuovere l’efficienza energetica, favorire lo sviluppo e l’innovazione del sistema produttivo e incrementare i livelli occupazionali, seguendo i principi di un’economia circolare.
Secondo lo studio, l’insieme delle proposte consentirebbe alla Liguria di ridurre di circa 6 milioni di tonnellate annue le emissioni di CO2 , di fatto dimezzando le emissioni pro-capite, portandole cioè a circa 3,6 tonnellate di anidride carbonica equivalente (tCO2eq), rispetto alla media nazionale attuale che è di circa 7,1 tCO2eq.
“Non si tratta di un piano energetico regionale, ma dell’analisi di alcune opzioni che possono essere sviluppate e percorse da subito e avere piena attuazione nel corso di qualche decennio – sottolinea Roberto Morabito, Direttore del Dipartimento Sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali dell’ENEA -  L’obiettivo è l’individuazione di un modello di sviluppo green e low carbon che possa essere replicabile anche in altre realtà regionali e territoriali.”

“Questo studio dimostra in modo chiaro e inequivocabile – ha dichiarato Donatella Bianchi, Presidente del WWF Italia – come già oggi esistano una serie di soluzioni concrete e cantierabili che consentirebbero ad una Regione come la Liguria (ma il discorso potrebbe tranquillamente essere esteso all’intero Paese) di fare rotta verso un’economia a bassissime emissioni, capace cioè di contrastare la minaccia dei cambiamenti climatici e, allo stesso tempo, creare nuova occupazione, più durevole e sostenibile.”
Complessivamente sono state prese in considerazione oltre 30 opzioni tecnologiche e su 15 di esse è stata effettuata una valutazione degli impatti energetici, ambientali, economici ed occupazionali, arrivando ad una rosa di interventi, da poter promuovere in cinque settori strategici: fonti rinnovabili elettriche, rinnovabili termiche, accumulo elettrochimico in batterie, risparmio energetico nell’edilizia, sistema dei trasporti sostenibile.
Alcune delle opzioni individuate risultano promettenti, ma non ancora pienamente mature (ad esempio l’auto elettrica), in quanto la loro affermazione dipenderà dagli investimenti e dalle traiettorie di sviluppo internazionali. In altri casi, si tratta di tecnologie ormai mature e di sicuro sviluppo (ad esempio il fotovoltaico), ma ancora condizionate da costi e limiti organizzativi del mercato. Altre ancora sono tecnologicamente pronte (ad esempio la riqualificazione energetica ad emissioni quasi zero degli edifici), ma ostacolate da inerzie organizzative e disponibilità di accesso a capitali adeguati.
Nel campo delle fonti rinnovabili elettriche e termiche, lo studio prevede che si possano creare mediamente 2.076 nuovi posti di lavoro, di cui 737 nelle rinnovabili elettriche e 1.339 nelle rinnovabili termiche. Tale sviluppo richiederebbe investimenti medi annui pari a 166 milioni di euro, di cui 103 milioni nelle rinnovabili elettriche e 63 milioni nelle rinnovabili termiche. In questo modo, il 40% dell’attuale domanda di energia elettrica regionale sarebbe soddisfatto da fonti rinnovabili per una valore pari a circa 2,5 terawattora (TWh = 1 miliardo di chilowattora).
Un altro settore dalle grandi potenzialità è quello della riqualificazione del parco edilizio: con un investimento medio annuo di circa 209 milioni di euro si creerebbero 2.186 nuovi posti di lavoro e gli interventi realizzati su oltre 10 mila appartamenti permetterebbero di ridurre i consumi del 60% rispetto agli attuali livelli. Sull’arco temporale di 15 anni il risparmio energetico sarebbe di 71 mila tonnellate di petrolio equivalente (tep), pari a una riduzione di circa il 15% dei consumi termici residenziali.
Complessivamente, nel settore delle fonti rinnovabili e della riqualificazione energetica degli edifici si potrebbero creare, come valore medio nei 15 anni, 4.262 nuovi posti di lavoro, che salgono agli oltre 4.500 totali includendo il settore dell’accumulo elettrico.
Anche dai trasporti può arrivare un contributo rilevante, anche se di difficile quantificazione sotto l’aspetto occupazionale: prendendo in considerazione quattro tipologie di intervento, quali auto elettriche, elettrificazione delle banchine portuali, promozione del traffico pubblico locale e del trasporto ferroviario da e per i porti, si potrebbero ottenere a regime risparmi energetici di circa 310 mila tep/anno.


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WWF contrario a ipotesi di abbattimento dei lupi



Il WWF ribadisce la propria contrarietà all’ipotesi che si sta affacciando negli ultimi tempi di abbattere individui di alcune  popolazioni locali di lupo, così come previsto dal Piano d’azione nazionale della specie in via d’approvazione, ipotesi che viene giustificata dalla ricerca di un "equilibrio" tra la specie selvatica e l'attività umana. L’ultima volta se ne è parlato, ad esempio, nel corso del Convegno del progetto LIFE Wolfalps tenutosi a Cuneo lo scorso 22 gennaio, in cui i partecipanti hanno discusso tale opzione.  

E’ vero che la ricolonizzazione di aree rurali da parte del lupo può costituire un problema per gli allevatori e i cacciatori, ma l’Associazione è comunque fortemente contraria alla concessione da parte del Ministero dell’Ambiente di deroghe alle norme che proteggono la specie per la sua conservazione di lungo periodo.  Sebbene la popolazione nazionale del lupo possa essere in rapida ripresa, non esistono ancora dati scientificamente robusti sulla distribuzione ed abbondanza del carnivoro in Italia che attestino il raggiungimento di una sua condizione sicuramente favorevole nel lungo periodo. Nel Piano del Ministero si parla di due popolazioni arbitrariamente distinte, Alpina ed Appenninica, solo ai fini gestionali e, grazie ad un monitoraggio svolto secondo un protocollo condiviso dagli esperti, solo recentemente è stato confermato che sulle Alpi il lupo è ancora lungi da essere fuori pericolo. Ciò è dovuto anche al pesante impatto del bracconaggio e di altre cause di morte come  le collisioni con autoveicoli.

Abbattimenti: perché NO
Concedere  alle Regioni la possibilità di abbattere alcuni esemplari, anche se a certe condizioni,  al solo scopo di assecondare le istanze di una parte del mondo agricolo e venatorio, non solo è inaccettabile da un punto di vista di conservazione della specie ma è pericoloso anche per l’economia degli allevatori e per il contrasto al bracconaggio. D’altro canto anche gli zoologi redattori del Piano parlano di intervento senza fondamento scientifico ma, forse, socialmente utile.  Infatti, diversi recenti studi internazionali, condotti in aree dove il lupo è cacciato, confermano che  uccidere degli esemplari può comportare per i sopravvissuti, oltre alla destrutturazione del branco a cui appartengono,  anche la perdita della capacità di predare in gruppo la fauna selvatica, specie il cinghiale, con conseguente rischio di aumento degli attacchi alla fauna domestica. E’ invece indispensabile incrementare e migliorare l’attività di comunicazione sul lupo rivolta all’opinione pubblica in generale e alle comunità rurali interessate, per accrescere il grado di conoscenza e ridurre la circolazione dei tanti luoghi comuni e falsità sulla specie, che spesso godono della eco di qualche media.
Per il WWF sbaglia chi crede che, "scontentando sia chi vuole eliminare il lupo sia chi chiede che sia protetto senza se e senza ma", si sia riusciti a formulare una buona strategia di gestione.

Puntare su mix metodi coesistenza col lupo
Piuttosto  il confronto è tra chi propugna metodi letali per gestire gli effetti della  ripresa della popolazione lupina e chi, come il WWF, esclude decisamente questa opzione, promuovendo la coesistenza con i metodi ampiamente sperimentati, efficaci e che escludono l’uccisione.  Metodi  accessibili anche grazie ai fondi messi a disposizione dalla CE all’agricoltura, come: la sorveglianza del pascolo, la presenza di buoni cani da guardia di razza pastore abruzzese-maremmano, le recinzioni fisse e mobili elettrificate. Nella stragrande maggioranza la combinazione di questi strumenti possono ridurre notevolmente il rischio. E’ di fondamentali importanza però che queste soluzioni siano messe in campo in modo tecnicamente corretto e ben gestite, per essere efficaci. Dunque ricorrendo anche al supporto di specialisti biologi, naturalisti o agronomo-forestali.

Abbattimenti di Stato: un favore al bracconaggio?
Il WWF segnala che è altamente probabile che gli eventuali abbattimenti leciti possano sommarsi a quelli illegali con fucili, lacci e veleno, già ampiamente praticati, fuori controllo, e di cui non si conosce la reale consistenza,  con il rischio aggiuntivo che questi ultimi crescano in numero e diffusione, stante la legittimazione che il piano d’azione conferisce al metodo e alla posizione secondo  cui il lupo è comunque un predatore nocivo.

Per il WWF la priorità oggi è, oltre la lotta al bracconaggio, il rafforzamento delle iniziative di comunicazione, delle iniziative di prevenzione e difesa dalle predazioni, il miglioramento della gestione dell’indennizzo del danno, la lotta al vagantismo canino che  provoca forti danni ,anche all’interno delle aree protette, alla zootecnia, alla fauna selvatica e allo stesso lupo, minacciato sia dalla perdita di identità genetica per incrocio con il cane domestico, sia dalle malattie come il cimurro canino.

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venerdì 22 gennaio 2016

OCSE: NEL 2050 RADDOPPIERANNO LE MORTI PER POLVERI SOTTILI


Un nuovo rapporto: "Il degrado e l’erosione del nostro capitale naturale rischia di aggravarsi causando cambiamenti irreversibili che potrebbero mettere in pericolo i benefici ottenuti in due secoli di miglioramento della qualità della vita". Al 2050 sono previste 3,6 milioni di morti all’anno per l’inquinamento dell’aria.

Se lasciassimo scorrere il film della storia senza intervenire, il mondo al 2050 apparirebbe in una luce triste. Al bilancio attuale, già appesantito da 1 miliardo di affamati, si aggiungerebbero altri 2 miliardi di bocche da sfamare concentrate nei paesi più poveri. Sette persone su 10 vivranno nelle aree urbane moltiplicando i problemi legati alla congestione, all'inquinamento, alla pressione su risorse sempre più difficile da trovare. E il prezzo in termini di salute diventerà drammatico: i morti prodotti dal particolato presente nell'aria che respiriamo raddoppieranno arrivando a 3,6 milioni per anno.

Non è una profezia dei catastrofisti e neppure una stima delle strutture internazionali che lavorano sulla protezione dell'ambiente. E' l'Ocse, il cartello dei paesi industrializzati che per decenni ha cantato le lodi della crescita, a suonare l'allarme. E' l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico a dire che la prospettiva di una quadruplicazione dell'economia nei prossimi 35 anni non è di per sé una buona notizia: quello che conta sono le conseguenze.  E il segno dello sviluppo che ci attende è ancora tutto da scrivere.


Quello che è certo - sostiene l'Ocse - è che, in assenza di un cambiamento di rotta, c'è di che preoccuparsi. Nei prossimi 35 anni la richiesta di energia aumenterà dell'80%. E, se saranno sempre i combustibili fossili a soddisfare l'85% della domanda trainata dai paesi emergenti, "il degrado e l'erosione del nostro capitale naturale rischia di aggravarsi da qui al 2050 causando cambiamenti irreversibili che potrebbero mettere in pericolo i benefici ottenuti in due secoli di miglioramento della qualità della vita".

I fenomeni estremi prodotti dal cambiamento climatico già in atto (crescita delle alluvioni, intensificazione della violenza delle piogge alternate a siccità più severe) saranno esasperati da un aumento del 50% delle emissioni serra causato in larga parte dal consumo dei combustibili fossili. La concentrazione di gas serra in atmosfera schizzerebbe a 650 parti per milione (la concentrazione di CO2 era a 280 parti per milione all'inizio dell'era industriale) e l'obiettivo di mantenere la temperatura entro un aumento massimo di 2 gradi verrebbe vanificato. Il termometro subirebbe una salita stimata tra 3 e 6 gradi, con conseguenze drammatiche su tutti gli ecosistemi.

Il 10% della biodiversità terrestre verrebbe cancellato, una vera e propria decimazione della vita, e la superficie delle foreste mature diminuirebbe del 13%. "Di qui al 2050 il cambiamento climatico diventerà, secondo le proiezioni, il principale fattore di riduzione della biodiversità. E l'impoverimento della biodiversità minaccia il benessere umano, soprattutto quello delle popolazioni rurali povere e delle comunità autoctone", scrive l'Ocse. Questo impoverimento e la perdita dei vantaggi legati ai servizi ecosistemici comportano un danno globale compreso tra 2 mila e 5 mila miliardi di dollari per anno secondo lo studio Teeb.

La domanda di acqua aumenterà del 55%. Il 40% della popolazione mondiale (2,3 miliardi di persone in più rispetto a oggi) vivrà in zone sottoposte a uno stress idrico elevato e non sarà possibile soddisfare la crescente domanda di irrigazione. Inoltre 1,4 miliardi di persone non avranno a disposizione acqua sicura dal punto di vista sanitario.
Questo è lo scenario legato al cosiddetto business as usual. Ma - ricorda l'Ocse - esistono alternative. Ad esempio una politica di carbon pricing capace di dare un prezzo adeguato alle emissioni di CO2 permetterebbe di ridurre i gas serra del 70% bloccando la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera a 450 parti per milione (oggi sono 400). La crescita economica rallenterebbe solo dello 0,2% all'anno (meno 5,5% di Pil al 2050): "molto poco rispetto all'inazione che, secondo alcune stime, potrebbe ridurre il consumo medio per abitante del 14%". Inoltre nei paesi emergenti non agire costerebbe dieci volte di più della lotta all'inquinamento.

Un'altra misura considerata efficace è la soppressione dei sussidi che danneggiano l'ambiente. Ai combustibili fossili sono stati concessi nel 2010 - si legge nel rapporto - 410 miliardi di dollari da parte dei Paesi emergenti e in via di sviluppo, e, negli ultimi anni, altri 44 - 75 miliardi di dollari per anno da parte dei paesi industrializzati.

Fonte: la Repubblica.it

giovedì 21 gennaio 2016

2015, l'anno più caldo


Il NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) e il Goddard Institute for Space Studies (GISS) della NASA hanno confermato il 2015 come l’anno record per  la temperatura media della superficie terrestre  registrata a  livello globale da quando vengono registrate le temperature in maniera scientifica dal 1880.

“La nuova normalità è l’instabilità – ha dichiarato Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia -  Mai come in questi ultimi anni  gli eventi climatici estremi sono stati amplificati dal riscaldamento globale che ha modificato l’intera dinamica energetica dell’atmosfera e le devastanti conseguenze stanno già impattando sia sulle comunità umane che sulle popolazioni di animali e gli ecosistemi che sono diffusi  dall’Artico all’Amazzonia.

Purtroppo la scia di questo anno record proseguirà anche  nel 2016 con impatti sugli eventi meteo che potranno raggiungere livelli estremi importanti. Il ghiaccio marino dell’Artico è prossimo al record negativo di spessore rispetto alle medie previste in questa fase dell’anno e le temperature degli oceani sono anch’esse ai massimi storici (entrambe causate da un mix di effetti dovuti sia al recente fenomeno del El Nino, particolarmente rafforzato, e dei complessivi effetti risultanti dal riscaldamento globale) . In Amazzonia la riduzione drastica delle piogge invernali lascerà  la regione esposta a maggiori rischi di incendi quando arriverà la stagione secca, con incremento di CO2 rilasciato in atmosfera e l’avvio di un circolo vizioso particolarmente pericoloso per gli equilibri dinamici dell’intero sistema climatico”.

“Gli eventi estremi registrati negli ultimi anni ci impongo di agire in fretta per evitare il cambiamento climatico più catastrofico, limitando il riscaldamento globale a 1,5°C come deciso a Parigi –ha detto Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia- E’ urgente cambiare passo verso un’economia a basso tenore di carbonio basata sul risparmio, sull’efficienza e sulle fonti rinnovabili di energia, lasciando sotto terra la maggior parte dei combustibili fossili che non abbiamo ancora bruciato. Allo stesso tempo dobbiamo prepararci ad affrontare gli effetti ormai inevitabili del cambiamento climatico. In Italia, come in tutti i paesi, è urgente e imprescindibile una strategia climatica, richiesta anche dall’accordo di Parigi”. 


DOPO 194 ANNI ADDIO AL CORPO FORESTALE DELLO STATO


Riforma Pa: nasce il comando per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare

Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali rende noto che con l'approvazione della Riforma della Pubblica Amministrazione nasce il Comando per la Tutela Forestale, Ambientale e Agroalimentare, attraverso la riorganizzazione del Corpo forestale dello Stato all'interno dell'Arma dei Carabinieri.

"Con la riforma - ha dichiarato il Ministro Maurizio Martina - riorganizziamo le funzioni di polizia impegnate sul fronte agroambientale, dotando l'Italia di una moderna struttura in grado di assicurare sempre meglio prevenzione e repressione su questo fronte. Uniamo le forze e potenziamo gli strumenti operativi. Il nuovo Comando assicurerà professionalità, specializzazione e un ramificato presidio del territorio rappresentando di certo una delle esperienze più avanzate d'Europa".

LE PRINCIPALI NOVITÁ DELLA RIORGANIZZAZIONE

- POTENZIATA LA TUTELA AGROAMBIENTALE
Dalla riorganizzazione del Corpo forestale dello Stato nell'Arma dei Carabinieri nasce il Comando per la Tutela Forestale, Ambientale e Agroalimentare. Una grande forza che potenzia le capacità dell'Italia di preservare e difendere il suo patrimonio paesaggistico, ambientale e agroalimentare. 7 mila uomini specializzati impiegati sul campo.

- PERCHÈ I CARABINIERI
L'Arma dei Carabinieri, per il modello organizzativo e operativo di presidio del territorio, garantisce il più alto livello di potenziamento della tutela agroambientale. Negli anni proprio i Carabinieri hanno sviluppato anche competenze specifiche in questo campo con Nuclei specializzati come i Nac (Nucleo Anticontraffazioni Carabinieri) e Noe (Nucleo operativo ecologico), oltre all'attività dei Nas (Nucleo anti sofisticazioni).

- RAFFORZATO IL PRESIDIO TERRITORIALE
Viene potenziato il livello di presidio del territorio attraverso il rafforzamento dell'attuale assetto con la cooperazione della capillare rete di strutture dell'Arma, delle sue capacità investigative e delle sue proiezioni internazionali per le attività preventive e repressive .

- MANTENUTA LA SPECIALIZZAZIONE
Nel nuovo comando viene assicurata la specializzazione attraverso l'impiego del personale del Cfs e anche i nuovi immessi verranno specificamente formati, così da garantire un alto livello professionale nelle materie agroambientali.

- VALORIZZATE LE PROFESSIONALITÁ
Il personale mantiene le competenze possedute e viene impiegato nell'attuale sede di lavoro e incarico ricoperto. Nascono per questa ragione i Ruoli forestali nell'Arma. Anche le progressioni di carriera vengono salvaguardate rispettando i criteri attualmente esistenti. La riorganizzazione prevede poi il trasferimento di 750 agenti ad altre forze di polizia o amministrazioni.

- EFFICIENTATI I COSTI E CONFERMATA LA DIPENDENZA FUNZIONALE DAL MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE
Con la riorganizzazione del Cfs e le altre misure contenute nel decreto legislativo vengono efficientati i costi di gestione. Il nuovo comando è posto alle dipendenze funzionali del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali a conferma dello stretto collegamento del comparto di specialità con le competenze, le tematiche e gli obiettivi del Ministero.

Ufficio Stampa Mipaaf

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martedì 19 gennaio 2016

CORTE COSTITUZIONALE: SI AL REFERENDUM SULLE TRIVELLAZIONI


Trivelle, si farà il referendum

“La Sentenza della Corte Costituzionale, che ha confermato il referendum sulle trivelle sul quesito già “promosso” dalle Corte di Cassazione,  ci dà lo spunto per rilanciare richieste chiare al Governo: rigetto immediato e definitivo di tutti i procedimenti ancora pendenti nell’area di interdizione delle 12 miglia dalla costa (a cominciare da Ombrina) e una moratoria di tutte le attività di trivellazione a mare e a terra, sino a quando non sarà definito un Piano energetico nazionale volto alla protezione del clima e rispettoso dei territori e dei mari italiani”. Con questo commento le associazioni ambientaliste Greenpeace, Legambiente, Marevivo, Touring Club italiano e WWF accolgono il giudizio della Consulta, che conferma l’inefficacia del tentativo del governo di scongiurare il referendum sulle trivelle. La decisione della Corte Costituzionale chiarisce come quanto disposto con gli emendamenti alla legge di Stabilità lo scorso dicembre, benché segni un dietro front radicale (e positivo) del governo, non risolva - sulla questione della fascia marina off limits - il conflitto sollevato dalle Regioni contro la strategia fossile del governo Renzi.
 
Le associazioni ambientaliste fanno notare come la volontà del Governo di tutelare gli interessi dell’economia fossile (con le norme pro trivelle come con gli interventi per bloccare lo sviluppo delle rinnovabili) abbia creato un conflitto istituzionale senza precedenti nel Paese. Pur di assecondare le lobby dei petrolieri, l’esecutivo Renzi aveva promosso forzature inaccettabili, come la classificazione delle trivellazioni come “opere strategiche” (dunque imposte a forza ai territori) e la creazione di servitù potenzialmente senza limiti di tempo, con concessioni prorogabili ad oltranza. Con le modifiche introdotte nella Legge di Stabilità 2016, grazie all’iniziativa referendaria, l’esecutivo di Renzi è stato in larga misura costretto a smentire se stesso.

 Roma, 19 gennaio 2016.  Comunicato stampa

LA CONSULTA DA AI CITTADINI LA PAROLA DECISIVA SULLE TRIVELLE
FALLITO IL PIANO DI RENZI PER SCONGIURARE IL REFERENDUM

“La Sentenza della Corte Costituzionale, che ha confermato il referendum sulle trivelle sul quesito già
“promosso” dalle Corte di Cassazione, ci dà lo spunto per rilanciare richieste chiare al Governo: rigetto
immediato e definitivo di tutti i procedimenti ancora pendenti nell’area di interdizione delle 12 miglia dalla
costa (a cominciare da Ombrina) e una moratoria di tutte le attività di trivellazione a mare e a terra, sino a
quando non sarà definito un Piano energetico nazionale volto alla protezione del clima e rispettoso dei
territori e dei mari italiani”. Con questo commento le associazioni ambientaliste Greenpeace, Legambiente,
Marevivo, Touring Club italiano e WWF accolgono il giudizio della Consulta, che conferma l’inefficacia del
tentativo del governo di scongiurare il referendum sulle trivelle. La decisione della Corte Costituzionale
chiarisce come quanto disposto con gli emendamenti alla legge di Stabilità lo scorso dicembre, benché segni
un dietro front radicale (e positivo) del governo, non risolva - sulla questione della fascia marina off limits
- il conflitto sollevato dalle Regioni contro la strategia fossile del governo Renzi.
Le associazioni ambientaliste fanno notare come la volontà del Governo di tutelare gli interessi
dell’economia fossile (con le norme pro trivelle come con gli interventi per bloccare lo sviluppo delle
rinnovabili) abbia creato un conflitto istituzionale senza precedenti nel Paese. Pur di assecondare le lobby
dei petrolieri, l’esecutivo Renzi aveva promosso forzature inaccettabili, come la classificazione delle
trivellazioni come “opere strategiche” (dunque imposte a forza ai territori) e la creazione di servitù
potenzialmente senza limiti di tempo, con concessioni prorogabili ad oltranza. Con le modifiche introdotte
nella Legge di Stabilità 2016, grazie all’iniziativa referendaria, l’esecutivo di Renzi è stato in larga
misura costretto a smentire se stesso.
La Corte Costituzionale oggi respinge di fatto i tentativi furbeschi messi in campo dal governo per eludere il
merito della questione delle trivelle entro le 12 miglia; e rimette al giudizio dei cittadini quei meccanismi
legislativi truffaldini con cui si è aggirato sino ad oggi un divieto altrimenti chiaro, lasciando campo libero
ai petrolieri fin sotto costa.
La Corte Costituzionale ha quindi ritenuto che le affrettate modifiche governative non siano sufficienti e ha
rimandato alla volontà popolare la decisione su quelle disposizioni del Decreto Sviluppo del 2012 (decreto
legge 83/2012) che fanno salvi non solo i titoli abilitativi già rilasciati all’entrata in vigore della norma
(cioè i diritti già acquisiti), ma anche i procedimenti autorizzativi in corso, conseguenti e connessi in essere
a fine giugno 2010 nella fascia off limits delle 12 miglia. La modifica voluta dal Governo, pur eliminando
la “sanatoria” sui procedimenti in corso, introduce una formula ambigua rispetto alla durata delle
concessioni (per la durata di vita utile del giacimento).
Le Associazioni ambientaliste chiedono che nessuna nuova infrastruttura estrattiva possa essere
realizzata in deroga a un Piano delle aree, da sottoporre a valutazione ambientale strategica, come
stabilito dalla normativa comunitaria. E dichiarano tutto il loro impegno per la campagna referendaria,
che da oggi ufficialmente, impegnerà tutte le energie positive del Paese nel tentativo di respingere
l’assalto dei petrolieri ai nostri mari e i piani fossili del governo di Roma.

Ufficio stampa Greenpeace 06.68136061 int. 101 – 203
Ufficio stampa Legambiente 06.86268353 -76- 99
Ufficio stampa WWF Italia 06.84497213

domenica 17 gennaio 2016

Caccia, modifica del calendario


Esercizio dei poteri sostitutivi su calendario venatorio


Il Consiglio dei Ministri ha deliberato l'esercizio dei poteri sostitutivi nei confronti delle Regioni Toscana, Calabria, Liguria, Marche, Puglia, Lombardia e Umbria, disponendo la modifica del loro calendario venatorio con la chiusura della caccia al 20 gennaio 2016 per le specie tordo bottaccio, beccaccia e cesena.

L'intervento si è reso necessario per evitare che il limite al 31 gennaio fissato dalle Regioni interessate facesse coincidere la stagione della caccia di una o più delle specie indicate con il periodo prenuziale o di riproduzione, determinando cosi una violazione della normativa europea e andando ad aggravare la posizione dell'Italia rispetto all'eventuale chiusura negativa del caso Eu-Pilot 6955/2014, avviato dalla Commissione europea.

Già dal luglio dello scorso anno e in diverse successive occasioni il Governo aveva provveduto a sensibilizzare gli enti territoriali ad adottare le modifiche ai calendari che erano risultati non conformi. Da ultimo lo scorso 23 dicembre le Regioni inadempienti, nove in tutto, erano state diffidate a provvedere entro 15 giorni ad adottare i necessari provvedimenti di modifica dei calendari, ma il mancato adempimento da parte di alcune ha reso necessario il ricorso all'esercizio dei poteri sostitutivi. Nello spirito della più leale collaborazione tra le amministrazioni pubbliche, il Ministro dell'ambiente ha proposto e ottenuto l'inserimento di una clausola che determina l'invalidità delle delibere, nell'ipotesi in cui le Regioni territorialmente competenti provvedano ad intervenire sui rispettivi calendari entro il 19 gennaio 2016, termine ultimo utile per provvedere all'adozione delle modifiche richieste.


Caccia: poteri sostitutivi su calendari venatori di 7 Regioni




REGIONE LIGURIA. FINANZIAMENTI PER LA DIFFERENZIATA



Con la delibera di Giunta regionale n.1569 del 29 dicembre 2015 la Regione ha approvato la ripartizione delle risorse economiche che garantiranno l' immediata attuazione delle misure per la raccolta differenziata ed il riciclo dei rifiuti previste dalla legge regionale n.20 del 2 dicembre 2015.
Si tratta complessivamente di un milione di euro che vengono ripartiti tra le Province e la Città Metropolitana di Genova per essere destinate al finanziamento di programmi redatti dai Comuni per lo sviluppo delle raccolte differenziate dei rifiuti urbani.Saranno finanziabili interventi per la progettazione e/o realizzazione (start up) di sistemi organizzativi finalizzati alle raccolte differenziate domiciliari, porta a porta o di prossimità e azioni ed interventi finalizzati al riciclaggio in loco della frazione organica prodotta tramite sistemi di compostaggio domestico o di comunità.
Comuni singoli o in forma associata dovranno redigere entro il 30 marzo 2016 i propri programmi, che saranno successivamente valutati dal Comitato d'Ambito per il ciclo dei rifiuti, ai fini dell'ammissione a finanziamento.
La delibera n.1569/2015 riporta in allegato lo schema di programma che dovrà essere compilato dal Comune e presentato alla Provincia/Città Metropolitana e alla Regione entro tale data.

Allegati
  • Deliberazione di Giunta regionale n.1569 del 29 dicembre 2015 - con schema di progetto allegato
    Scarica il file in formato .doc (180 kb)

martedì 12 gennaio 2016

CONFERENZA "LIGURIA ZERO EMISSION"


Conferenza di presentazione dello studio
Liguria Zero Emission: dopo l’accordo di Parigi, i primi passi verso un modello di sviluppo regionale eco-sostenibile
Le opportunità per economia, occupazione e ambiente

Giovedì, 28 Gennaio h 9.30 – 13.00
Salone Centrale ENEA (ingresso via Giulio Romano, 41) - Mappa
Lungotevere Thaon di Revel, 76, 00196 Roma

Evento in diretta streaming - http://webtv.enea.it/livestreaming

Il 28 Gennaio a Roma, presso il salone centrale ENEA, si terrà l'evento di presentazione dello studio, realizzato da ENEA su incarico del WWF Italia, dal titolo "Liguria Zero Emission: dopo l'accordo di Parigi, i primi passi verso un modello di sviluppo regionale eco-sostenibile", in cui si analizzano e valutano alcune possibili soluzioni per la transizione dall’attuale modello di sviluppo, incentrato sui combustibili fossili, a un modello “green”, basato sull’efficienza energetica e sulle rinnovabili, valorizzando le opportunità derivanti dall’applicazione dei criteri dell’economia circolare e dallo sviluppo di soluzioni eco-innovative nell’energia, nei trasporti, nell’edilizia, ecc..
Le soluzioni proposte si collocano nel più ampio contesto di politiche di contrasto al cambiamento climatico, in linea con la risoluzione approvata dalla Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali e dal Consiglio Regionale della Liguria che chiede di ridurre la CO2 del 50%, invece che solo del 40% come concordato su scala europea.
Lo studio analizza e valuta una serie di azioni da intraprendere in tempi relativamente brevi, nell’ambito dei nuovi indirizzi e delle strategie derivanti dagli impegni di riduzione dei gas serra, nel quadro delle politiche europee e internazionali di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, in linea con l’accordo di Parigi.
L’insieme di soluzioni individuate offre alla Regione Liguria l’opportunità di impegnarsi sin da subito in un percorso di decarbonizzazione e riduzione delle emissioni di gas serra. Tutto ciò tenendo conto degli strumenti economici esistenti, del rilancio del sistema produttivo e dei risvolti occupazionali.

Obiettivi del convegno
-  Fornire dati sul contesto attuale della Regione Liguria: tessuto produttivo, fondi strutturali, Piano energetico regionale, formazione e informazione, aspetti occupazionali
- Presentare nuovi orientamenti legati a modelli di società a basse emissioni di gas climalteranti, all’eco-innovazione e uso efficiente delle risorse e delle materie
- Indicare le possibili soluzioni e le opportunità energetiche in chiave green: efficienza energetica, fonti rinnovabili, mobilità sostenibile e nuove soluzioni tecnologiche
- Fornire un quadro delle nuove opportunità di impresa e occupazione nella regione

Segreteria organizzativa: Teresa Frataccia 06.36272818 - teresa.frataccia@enea.it
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