Un nuovo rapporto: "Il degrado e l’erosione del nostro capitale naturale rischia di aggravarsi causando cambiamenti irreversibili che potrebbero mettere in pericolo i benefici ottenuti in due secoli di miglioramento della qualità della vita". Al 2050 sono previste 3,6 milioni di morti all’anno per l’inquinamento dell’aria.
Se lasciassimo scorrere il film della storia senza intervenire, il mondo al 2050 apparirebbe in una luce triste. Al bilancio attuale, già appesantito da 1 miliardo di affamati, si aggiungerebbero altri 2 miliardi di bocche da sfamare concentrate nei paesi più poveri. Sette persone su 10 vivranno nelle aree urbane moltiplicando i problemi legati alla congestione, all'inquinamento, alla pressione su risorse sempre più difficile da trovare. E il prezzo in termini di salute diventerà drammatico: i morti prodotti dal particolato presente nell'aria che respiriamo raddoppieranno arrivando a 3,6 milioni per anno.
Non è una profezia dei catastrofisti e neppure una stima delle strutture internazionali che lavorano sulla protezione dell'ambiente. E' l'Ocse, il cartello dei paesi industrializzati che per decenni ha cantato le lodi della crescita, a suonare l'allarme. E' l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico a dire che la prospettiva di una quadruplicazione dell'economia nei prossimi 35 anni non è di per sé una buona notizia: quello che conta sono le conseguenze. E il segno dello sviluppo che ci attende è ancora tutto da scrivere.
Quello che è certo - sostiene l'Ocse - è che, in assenza di un cambiamento di rotta, c'è di che preoccuparsi. Nei prossimi 35 anni la richiesta di energia aumenterà dell'80%. E, se saranno sempre i combustibili fossili a soddisfare l'85% della domanda trainata dai paesi emergenti, "il degrado e l'erosione del nostro capitale naturale rischia di aggravarsi da qui al 2050 causando cambiamenti irreversibili che potrebbero mettere in pericolo i benefici ottenuti in due secoli di miglioramento della qualità della vita".
I fenomeni estremi prodotti dal cambiamento climatico già in atto (crescita delle alluvioni, intensificazione della violenza delle piogge alternate a siccità più severe) saranno esasperati da un aumento del 50% delle emissioni serra causato in larga parte dal consumo dei combustibili fossili. La concentrazione di gas serra in atmosfera schizzerebbe a 650 parti per milione (la concentrazione di CO2 era a 280 parti per milione all'inizio dell'era industriale) e l'obiettivo di mantenere la temperatura entro un aumento massimo di 2 gradi verrebbe vanificato. Il termometro subirebbe una salita stimata tra 3 e 6 gradi, con conseguenze drammatiche su tutti gli ecosistemi.
Il 10% della biodiversità terrestre verrebbe cancellato, una vera e propria decimazione della vita, e la superficie delle foreste mature diminuirebbe del 13%. "Di qui al 2050 il cambiamento climatico diventerà, secondo le proiezioni, il principale fattore di riduzione della biodiversità. E l'impoverimento della biodiversità minaccia il benessere umano, soprattutto quello delle popolazioni rurali povere e delle comunità autoctone", scrive l'Ocse. Questo impoverimento e la perdita dei vantaggi legati ai servizi ecosistemici comportano un danno globale compreso tra 2 mila e 5 mila miliardi di dollari per anno secondo lo studio Teeb.
La domanda di acqua aumenterà del 55%. Il 40% della popolazione mondiale (2,3 miliardi di persone in più rispetto a oggi) vivrà in zone sottoposte a uno stress idrico elevato e non sarà possibile soddisfare la crescente domanda di irrigazione. Inoltre 1,4 miliardi di persone non avranno a disposizione acqua sicura dal punto di vista sanitario.
Questo è lo scenario legato al cosiddetto business as usual. Ma - ricorda l'Ocse - esistono alternative. Ad esempio una politica di carbon pricing capace di dare un prezzo adeguato alle emissioni di CO2 permetterebbe di ridurre i gas serra del 70% bloccando la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera a 450 parti per milione (oggi sono 400). La crescita economica rallenterebbe solo dello 0,2% all'anno (meno 5,5% di Pil al 2050): "molto poco rispetto all'inazione che, secondo alcune stime, potrebbe ridurre il consumo medio per abitante del 14%". Inoltre nei paesi emergenti non agire costerebbe dieci volte di più della lotta all'inquinamento.
Un'altra misura considerata efficace è la soppressione dei sussidi che danneggiano l'ambiente. Ai combustibili fossili sono stati concessi nel 2010 - si legge nel rapporto - 410 miliardi di dollari da parte dei Paesi emergenti e in via di sviluppo, e, negli ultimi anni, altri 44 - 75 miliardi di dollari per anno da parte dei paesi industrializzati.
Fonte: la Repubblica.it
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